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Eco di Maria Regina della Pace 209 (Marzo-Aprile 2010)

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“Vedendo il Figlio di Dio venire a
noi senza fasto, né grandezza né mae-
stà, vestito come un povero nella sua
umiltà
, noi abbiamo creduto, secondo
i nostri criteri umani, che egli ci
nascondesse la sua grandezza e la sua
gloria, mentre stava proprio rivelando-
ci, attraverso questa stessa spoliazio-
ne, l'autentica grandezza, la vera glo-
ria divina.
Questa grandezza e questa gloria
non hanno nulla a che vedere con le
nostre grandezze e glorie umane.
Consistono essenzialmente nella
signoria di un amore che ignora tutte le
distanze e trionfa nella comunione”.
Éloi Leclerc
Messaggio del 25 gennaio 2010:
“Cari figli, questo tempo sia per voi il
tempo della preghiera personale affinchè
nei vostri cuori cresca il seme della fede e
che cresca nella gioiosa testimonianza
agli altri. Io sono con voi e vi voglio esor-
tare tutti: crescete e rallegratevi nel
Signore che vi ha creati. Grazie per aver
risposto alla mia chiamata”.
La preghiera
è humus per la fede
Gli Apostoli dissero al Signore:
“Accresci in noi la fede!”. Il Signore rispo-
se: “Se aveste fede quanto un granello di
senapa, potreste dire a questo gelso:
“Sràdicati e vai a piantarti nel mare”, ed
esso vi obbedirebbe
(Lc 17,5-6). Cari figli,
questo tempo sia per voi il tempo della
preghiera personale affinché nei vostri
cuori cresca il seme della fede
, ci esorta
Maria. Questo è il tempo in cui grano e ziz-
zania crescono insieme, è il tempo dell’at-
tesa del ritorno di Cristo, tempo nel quale
siamo chiamati a custodire e far crescere il
buon seme della fede.
La fede è un dono di Dio di incommensu-
rabile grandezza e, come ogni dono che
viene da Lui, è offerto, non imposto; sta a
noi accogliere e custodire il dono o rifiutar-
lo. Dio rispetta la nostra libertà fino in fon-
do, ma non ci abbandona ed è sempre pron-
to ad accorrere in nostro soccorso quando a
Lui ci rivolgiamo con cuore sincero. Anche
se non sappiamo pregare, sarà lo Spirito ad
intercedere per noi (Rm 8,26).
Chiediamo con forza a Dio che non
muoia in noi il seme della fede; chiediamo-
lo più di ogni altra cosa al mondo; chiedia-
molo per noi, per i nostri figli, per i nostri
amici, per coloro che ci sono nemici, per
tutta l’umanità. Chiediamo l’intercessione
potente di Maria, che è con noi, sempre
pronta a sorreggerci; chiediamo l’interces-
sione degli Angeli, dei nostri santi. Sia la
nostra preghiera semplice, viva, fiduciosa;
sia elevazione dell’anima a Dio. “Per me la
preghiera è uno slancio del cuore, è un sem-
plice sguardo gettato verso il Cielo, un gri-
do di gratitudine e di amore nella prova
come nella gioia, è qualcosa di grande, di
soprannaturale, che mi dilata l’anima e mi
unisce a Gesù” (S. Teresa di Gesù Bambino
MA 317). Quello che Santa Teresa afferma
è esperienza che io, tu, tutti possiamo fare
se veramente questo desideriamo!
La preghiera vera, quella del cuore, è
comunione fra creatura e Creatore, è incon-
tro in Cristo fra il Padre ed il figlio che io
sono, che tu sei; proprio per questo la litur-
gia eucaristica, la S. Messa, è la più alta
forma di preghiera. Accetta, o Padre, la
nostra offerta in questa notte di luce, e per
questo misterioso scambio di doni trasfor-
maci nel Cristo tuo Figlio, che ha innalza-
to l’uomo accanto a te nella gloria
. Così
preghiamo sulle offerte nella S. Messa del-
la notte di Natale, ed il frutto di questa pre-
ghiera è diventare in Cristo un solo corpo e
un solo spirito
. A questa assimilazione deve
portare la nostra fede. Ora l’uomo non è più
tenuto lontano dall’Albero della Vita per-
ché non ne mangi e viva per sempre (Gen
3,22-24). Ora l’Albero della Vita è Cristo
Gesù e l’uomo può mangiarne e vivere per
sempre, se lo fa con cuore ben disposto.
Così la nostra fede diventa gioiosa testimo-
nianza agli altri
ed è testimonianza real-
mente efficace perché trasmette non qual-
cosa di nostro ma Colui che vive in noi,
Cristo Gesù; ed è portatrice di gioia perché
Egli è la vera, la sola, unica, eterna Gioia!
Così cresciamo e ci rallegriamo nel
Signore che ci ha creati
e che ci ha voluti
figli nel Figlio Suo Gesù!
Nuccio Quattrocchi
Messaggio del 25 febbraio 2010:
“Cari figli, in questo tempo di grazia
quando anche la natura si prepara ad
offrire i colori più belli nell’anno, io vi
invito, figlioli, aprite i vostri cuori a Dio
Creatore perchè Lui vi trasfiguri e vi
modelli a propria immagine affinché tut-
to il bene, addormentatosi nel vostro
cuore, possa risvegliarsi alla vita nuova e
come anelito verso l’eternità. Grazie per
aver risposto alla mia chiamata”.
Aprite i vostri cuori
a Dio Creatore
C’è un tempo in cui la natura si risveglia
dal sonno dell’inverno ed è un tempo di
grazia
perché è la grazia di Dio che la
governa e la ridesta. Così è per tutto il crea-
to ed ancor più per la creatura umana fatta
a Sua immagine. Cari figli, vi invito ad
aprire la porta del vostro cuore a Gesù,
come il fiore si apre al sole
ci ha detto
Maria il 25 gennaio 1995 ed oggi ancora ci
ripete aprite i vostri cuori a Dio Creatore.
Dio è Creatore. Non lo fu solo agli inizi
della storia del mondo e dell’uomo; lo fu
allora e lo è ancora perché Dio è la Vita e la
vita è in Lui e non esiste senza di Lui.
L’uomo non può fare a meno di Dio. È l’in-
ganno del serpente antico che ancora tenta
e seduce l’uomo, che lo illude di poter fare
a meno di Dio, di poter vivere senza di Lui,
e perfino contro di Lui. È la radice del pri-
mo peccato che ancora germoglia e finirà di
germogliare solo quando Dio sarà tutto in
tutti.
Come ogni mamma fa con i propri
bimbi, Maria ci ridesta dal sonno, ci chiama
alla Vita. Aprite i vostri cuori a Dio
Creatore perché Lui vi trasfiguri e vi
modelli a propria immagine.
Questa è la
Vita: vivere di Dio, consentire a Lui di con-
tinuare la Sua Opera di creazione in noi,
abbandonarsi al Suo Amore che ci trasfigu-
ra e ci assimila a Gesù. Maria insiste; è
sempre all’opera fin da quando, giovanissi-
ma, ha detto il Suo Si all’angelo Gabriele,
fin da quando accogliendo Gesù in Lei ha
accolto in Lui tutti noi per fare di ciascuno
di noi un unico Figlio al Padre. Questa è la
creazione di Dio; è sempre in atto perché
questa è la Sua Opera. Come possiamo
essere non disponibili a tanto Amore?
Vi dico dunque e vi scongiuro nel
Signore: non comportatevi più come i
pagani nella vanità della loro mente, acce-
cati nei loro pensieri estranei alla vita di
Dio a causa dell’ignoranza che è in loro, e
per la durezza del loro cuore
(Ef 4,17-18).
Dovete rinnovarvi nello spirito della
vostra mente e rivestire l’uomo nuovo,
creato secondo Dio nella giustizia e nella
santità vera
(Ef 4,23-24). Questo è il risve-
glio al quale ci chiama Maria e proseguen-
do nella Lettera di Paolo agli Efesini trove-
Marzo - aprile 2010 - Edito da Eco di Maria, Via Cremona, 28 - 46100 Mantova - TEL. 0039/338.6708931
A. 26, n. 3 - 4
"Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 2, DCB Mantova
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remo consigli utili ancora oggi come, e for-
se più che ieri, affinché nasca in ciascuno di
noi la Vita nuova, quella che Cristo ci ha
conquistato con la Sua Morte e
Risurrezione. Oggi, come duemila anni fa,
l’essenza della vita è sempre e solo Gesù
Cristo ed in Lui, e solo in Lui, possiamo
scoprirla, gustarla, viverla. Non si tratta di
redigere un trattato sull’esistenza ma di
vivere un’esperienza. Non si tratta di inven-
tare qualcosa di nuovo ma di vivere la Vita
nuova
che è già presente in Cristo ed offer-
ta a ciascuno di noi. Si tratta solo di acco-
glierla con sincerità di cuore, senza finzio-
ni, senza ipocrisie.
Svegliatevi dal sonno dell’incredulità e
del peccato perché questo è un tempo di
grazia che Dio vi dà
(25.02.2000).
Svegliatevi dal sonno stanco della vostra
anima
(25.03.2001); così ci esorta Maria ed
ora tocca a ciascuno di noi, e soprattutto a
chi nella Chiesa ha particolari responsabili-
tà, accettare o rifiutare. Ancora è possibile,
ma fino a quando? N.Q.
Notizie d’Africa
C’è sempre il rischio di “far finta di
niente” e relegare nell’oblio della nostra
coscienza una terra che continuamente
combatte la sua lotta non solo per vivere,
ma spesso per sopravvivere a malapena.
Una terra sulla quale pesa il destino di esse-
re perennemente “terzo mondo”, non un
soggetto con cui relazionarsi “alla pari”, ma
un terzo che sta a parte e di cui occuparsi.
Da tempo sulle pagine dell’Eco faccia-
mo un po’ di spazio per dare voce a questo
continente affinché
sia protagonista della
propria esistenza; ed
è la voce dei testimo-
ni, di quanti per
diverse ragioni, la
visitano, la abitano, la
amano…
In questa breve lettera inviata in reda-
zione, don ANDREA MESCHI, padre
generale dell’Ordine degli Stimmatini
, ci
racconta un po’ di quella terra, perché tutti
possiamo farcene carico, per lo meno attra-
verso il dono della nostra preghiera.
Carissimi,
sono tornato da pochissimo in Italia…
Ho ritrovato la Costa D’avorio (erano qua-
si sei anni che non ci andavo) in condizioni
abbastanza preoccupanti. È un paese che
invece di avanzare, sta regredendo paurosa-
mente. Si sta velocemente innalzando il
numero di coloro che non raggiungono la
soglia della possibilità di sopravvivenza e
che al mattino quando si svegliano si pon-
gono subito la domanda fondamentale:
oggi troverò qualcosa da mangiare? La
povertà dilaga. Il paese, avrebbe in sé delle
riserve, ma una politica disgregante (sem-
bra sempre latente la possibilità qualche
moto rivoluzionario) e corrotta, la presenza
di forze multinazionali sfruttatrici manda
questo paese allo sfascio.
Come stimmatini siamo già presenti da
quaranta anni e guidiamo comunità parroc-
chiali ferventi, opere di carità e di educa-
zione nei con-
fronti dei giova-
ni.
Abbiamo anche
una potente
radio come mez-
zo di catechesi
da diffondere nei
diversi villaggi
della foresta.
Cooperano con
noi laici e suore. Ad Ayamè, ho incrociato
nell’ospedale nato con noi: un’equipe di
medici del San Matteo di Pavia che periodi-
camente scendono in Africa a svolgere la
loro opera. Erano in quel momento impe-
gnati in una serie di operazione agli occhi.
I nostri missionari europei sono pochis-
simi, ormai nel tempo è cresciuta una bella
schiera di stimmatini locali (quasi una ven-
tina) che fanno ben sperare per il futuro, ma
le necessità anche economiche sono fortis-
sime. Speriamo che l’Africa alzi la testa e
cammini.
Io mi sono portato a casa con nostalgia
i loro canti misteriosamente ritmati dal tam
tam, e nelle pieghe dei vestiti un po’ di
quella “terra rossa” che non si può più scor-
dare”.
Don Andrea Meschi
DALL
’U
GANDA
Carissimi,
grazie di cuore per l’invio dell’Eco di
Maria. Spesso mi sono riproposta di scri-
vervi ma la guerriglia occupava tutti i miei
pensieri. Lo faccio ora…
Sono in Africa da moltissimi anni; ini-
zialmente lavoravo in una scuola ed ora nella
pastorale giovanile per la promozione uma-
na, sociale e cristiana dei giovani, con parti-
colare attenzione agli ex-bambini soldato. La
Missione si trova nel Nord dell’Uganda. Per
ventidue anni ho vissuto con la gente l’espe-
rienza della guerriglia e ho sperimentato le
orribili atrocità attuate dai ribelli della “Lord
Resistent Army”, tra cui la dolorosa Via cru-
cis dei bambini che venivano rapiti per diven-
tare soldati e schiavi, subendo ogni sorta di
maltrattamenti.
Ora siamo in un periodo di pace, grazie
a Dio. Questo ci permette di vivere più
serenamente e quindi di lavorare di più.
Distribuisco l’Eco di Maria in lingua
inglese tra i giovani nelle diverse scuole
della Missione. I ragazzi lo leggono con
entusiasmo ed interesse e vi assicuro che è
sempre festa quando lo ricevono e poi, a
turno, se lo passano. Attualmente sono die-
ci le scuole che seguo, per cui il giro che fa
questo prezioso opuscolo è grande! In tutte
queste scuole si recita il Rosario e nella pre-
ghiera i ragazzi sentono molto forte la pre-
senza della Vergine Maria.
Anch’io leggo molto volentieri l’Eco,
perché vi trovo materiale per la pastorale
giovanile e per la mia riflessione persona-
le. L’unico rammarico è che non posso
contribuire finanziariamente, perciò prego
la Madre di Dio che provveda Lei a “qual-
cuno” che poi vi offra l’abbonamento per
noi missionari. Ed a questo “qualcuno”
vada il nostro grazie speciale, cioè il mio e
quello dei giovani, insieme alla mia pre-
ghiera di ringraziamento per la vostra
generosità. Su ciascuno di voi e su tutti i
vostri lettori e sostenitori invoco la copiosa
benedizione di Dio.
suor Aurelia Poma (Lira, Uganda)
Il cristianesimo
non è un moralismo!
“Il cristianesimo non è e non può essere
un moralismo, non siamo noi che dobbiamo
fare quanto Dio si aspetta dal mondo, ma
dobbiamo innanzitutto entrare in questo
mistero: Dio si dà Egli stesso. Il suo essere,
il suo amare, precede il nostro agire e, nel
contesto dello stare in Lui, identificati con
Lui, nobilitati con il suo Sangue, possiamo
anche noi agire con Cristo.
“Da Dio non chiediamo qualche piccola o
grande cosa, da Dio invochiamo il dono
divino, Dio stesso. (…) Dobbiamo imparare
sempre più per quali cose possiamo pregare
e per quali cose non possiamo pregare, per-
ché sono espressioni del mio egoismo. Non
posso pregare per cose che sono nocive per
gli altri, non posso pregare per cose che aiu-
tano il mio egoismo, la mia superbia. Così il
pregare, davanti agli occhi di Dio, diventa
un processo di purificazione dei nostri pen-
sieri, dei nostri desideri. (...) Solo in questo
processo di lenta purificazione, di liberazio-
ne da noi stessi e dalla volontà di avere solo
noi stessi, sta il cammino vero della vita, si
apre il cammino della gioia”.
Benedetto XVI
(da una Lectio Divina)
Andate contro corrente
!
“Siamo continuamente chiamati a con-
versione, ma non sempre ci è chiaro cosa
significhi veramente. Convertirsi vuol dire
cambiare direzione nel cammino della vita:
non, però, con un piccolo aggiustamento,
ma con una vera e propria inversione di
marcia. Conversione è andare controcorren-
te, dove la ‘corrente’ è lo stile di vita super-
ficiale, incoerente ed illusorio, che spesso
ci trascina, ci domina e ci rende schiavi del
male o comunque prigionieri della medio-
crità. Con la conversione, invece, si punta
alla misura alta della vita cristiana, ci si
affida al Vangelo vivente e personale, che è
Cristo Gesù. È la sua persona la meta fina-
le e il senso profondo della conversione, è
lui la via sulla quale tutti sono chiamati a
camminare nella vita, lasciandosi illumina-
re dalla sua luce e sostenere dalla sua forza
che muove i nostri passi.
Ogni giorno è momento favorevole e di
grazia, perché ogni giorno ci sollecita a
consegnarci a Gesù, ad avere fiducia in Lui,
a rimanere in Lui (...) anche quando non
mancano le difficoltà e le fatiche, le stan-
chezze e le cadute, anche quando siamo
tentati di abbandonare la strada della seque-
la di Cristo e di chiuderci in noi stessi, nel
nostro egoismo, senza renderci conto della
necessità che abbiamo di aprirci all’amore
di Dio in Cristo, per vivere la stessa logica
di giustizia e di amore.
Rinnoviamo il nostro impegno di segui-
re Gesù, di lasciarci trasformare dal suo
mistero pasquale, per vincere il male e fare
il bene, per far morire il nostro uomo vec-
chio
legato al peccato e far nascere l’uomo
nuovo
trasformato dalla grazia di Dio”.
Benedetto XVI
(Udienza Generale 17 febbraio 2010)
“Il deserto è la scuola dell'intimità divina, è lo
spazio silenzioso e senza confini dell'incontro
con l'Assoluto di Dio. Nel deserto la legge
diventa Amore e l'uomo scopre che Dio è
Persona. I Profeti hanno aiutato il popolo di
Dio a trovare questa dimensione matura del
rapporto con Jahvè proprio nel deserto e il
rapporto è diventato amicizia, alleanza, collo-
quio, conoscenza, vita...”.
Carlo Carretto
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Il Sacerdozio
in primo piano
Prediletti
Non meravigliamoci se l’Amore, che
dona gioia ai cuori, assomiglia ad un fuoco
acceso da un “legno speciale”, fatto di
spine
, perché così è piaciuto al Padre. Non
è necessario cercarlo, perché ci viene sicu-
ramente offerto ogni giorno: si tratta sola-
mente di riconoscerlo e di tenerlo ben stret-
to, senza gettarlo via. Forse non è difficile
riconoscerlo perché assomiglia a quel legno
che il Figlio portò sul monte Calvario dopo
averlo accolto prontamente dal Padre. Il
Padre gioì immensamente di ciò e sentì il
bisogno di manifestare questa sua gioia agli
uomini quando disse: questi è il mio Figlio
prediletto
(l’amato) in cui ho posto il mio
compiacimento.
Poi il Padre pensò di dona-
re agli uomini, tramite il Figlio, quel legno
affinché tutti quelli che l’avessero portato
sperimentassero Amore e Gioia.
Per questo le prove della vita, che ricor-
dano sempre un po’ quel “legno”, esprimo-
no la benevolenza del Padre, e non un casti-
go. Maria, che con l’annuncio dell’angelo
riconobbe quel “legno”, andò con gioia
dalla cugina Elisabetta per dirle: d’ora in
poi tutte le generazioni mi chiameranno
beata.
Dunque la croce è stata pensata
dal Padre per donare beatitudine
, e non
pena. Diversamente Maria non sarebbe
andata dalla cugina per manifestarle la sua
beatitudine. Sì, come la Croce è stata un
segno di predilezione del Padre verso il
Figlio e verso la Madre, così anche i nostri
patimenti quotidiani fanno pensare a tale
predilezione. E come Maria accolse la cro-
ce con tanto amore e abbandono, pur senza
comprendere appieno, così anche noi sia-
mo chiamati ad accogliere le sofferenze di
ogni giorno con amore e abbandono anche
se non sempre capiamo. Se faremo così,
forse sperimenteremo anche noi la beatitu-
dine della Vergine; forse anche noi ci senti-
remo gli amati del Padre, i prediletti, come
Gesù e Maria.
Troppo poco
Nel paradiso terrestre l’uomo possede-
va tutto quanto era necessario per la vita
perché era “ricco” della ricchezza di Dio,
ma quando si allontanò da quel luogo si
impoverì e finì per perdere tutto.
Nonostante le sue fatiche, non riusciva ad
avere niente di ciò che occorre per vivere.
Allora il Padre s’impietosì della situazione
infelice in cui si trovava l’uomo e pensò di
ridargli ciò che aveva perduto, anzi, molto
di più, perché gli donò il Tesoro più grande
che aveva: il proprio Figlio. In questo
modo il Padre si privò del Figlio per arric-
chire
l’uomo.
Ora il Padre non “può” donarci nuova-
mente il Figlio perché - per così dire - non
è più suo ma nostro, avendolo dato a noi, e
così ha bisogno di noi, semplici creature
umane, per donare il Figlio a quanti l’han-
no perduto. Ma dobbiamo fare attenzione
perché possiamo perdere il Tesoro che por-
tiamo in vasi di argilla: se li rompiamo,
disperdiamo il contenuto…
Abbiamo un compito importante nel
piano di Dio: portare Gesù al fratello.
Maria è la splendida creatura che ci porta
sempre a Gesù, ma chiede anche la nostra
collaborazione, quasi che per svolgere la
sua opera abbia bisogno di noi. Tutti noi, se
accogliamo Gesù, Lo possiamo portare agli
altri perché Lui, che è mite e umile di cuo-
re,
si lascia sempre condurre senza porre
resistenza. Forse Gesù si aspetta da noi
proprio questo: che ce Lo doniamo scam-
bievolmente, che Lo doniamo agli altri,
senza distinzioni, senza preferenze, soprat-
tutto a chi non sa d’averlo perduto, a chi
non lo cerca nemmeno. Probabilmente alla
fine della nostra vita il Padre ci chiederà
solo questo: se avremo portato Gesù agli
altri. Perciò, se non diamo Gesù, diamo
troppo poco…
Madre Teresa di Calcutta lo ricordava
spesso: diamo troppo poco se non diamo
Dio. Infatti l’uomo, anche quando chiede
solo il “pane”, in realtà cerca sempre Dio
perché, in fondo al cuore, ha sempre
“fame” di Dio. Gesù ce lo ha ricordato tan-
te volte. Anche quando disse: non di solo
pane vive l’uomo, ma di ogni parola che
esce dalla bocca di Dio
, voleva intendere
che, senza Dio, il “pane” è insufficiente a
sfamare. Ed anche quando dava alle folle i
pani ed i pesci, con questi offriva pure la
parola di Dio, per sfamare veramente l’uo-
mo... Ci viene dunque chiesto di dare sem-
pre Gesù a chi è nel bisogno, per non dare
troppo poco. E non preoccupiamoci se non
ci sentiamo adeguati a questo compito:
Maria è nostro modello ed aiuto. Ricor-
riamo allora a Lei, e certamente non man-
cheremo di portare Gesù agli altri.
P
ENSIERI SEMPLICI
di
Pietro Squassabia
Un santo di ieri
cosa può dirci oggi?
Domenica 25 aprile verrà proclamato
beato il carmelitano padre Angelo Paoli
(1642-1720). Oggi, a
distanza di tanti anni,
che senso ha la glori-
ficazione di questo
uomo vissuto così
tanto tempo fa?
La
sua storia, mostrata a
tutti con la beatifica-
zione, porta un mes-
saggio ancora valido
per la Chiesa e il
Carmelo che avanzano nel terzo millennio?
Sicuramente ciò che non tramonta della
vita e dell’esempio di padre Angelo Paoli è
il suo servizio caritativo fondato nella con-
templazione del Mistero di Dio, amato ed
adorato soprattutto nella Santa Eucaristia.
Scrive papa Benedetto XVI: «I santi
hanno attinto la loro capacità di amare il
prossimo, in modo sempre nuovo, dal loro
incontro con il Signore Eucaristico e, reci-
procamente questo incontro ha acquisito il
suo realismo e la sua profondità proprio nel
servizio agli altri»
(Deus Caritas est, n°
18). Padre Angelo ha vissuto con verità tan-
gibile il suo rapporto con Dio rimanendo
unito a Lui nelle sue lunghe ore di preghie-
ra e diventando manifestazione nella storia
della presenza dell’amore di Dio. L’amore
intenso per la persona di Cristo e per la sua
Croce, ha plasmato il corso della sua vita ed
è diventato per lui un’esperienza di unione
di pensiero, di sentimento e volontà con il
mistero divino, tanto da condurre padre
Angelo a vedere gli uomini ed il mondo con
gli occhi di Dio ed amare gli altri in Dio e
con Dio.
La beatificazione di padre Angelo arriva
dopo tanti anni di attesa ed il Signore nella
sua Provvidenza pare che voglia offrirla in
un tempo speciale. Sarà solo un caso il fat-
to che essa verrà donata al Carmelo ed alla
Chiesa nell’anno che il Pontefice ha voluto
dedicare al sacerdozio? In questo Anno
Sacerdotale, la beatificazione di padre
Angelo è certamente un’occasione opportu-
na per risvegliare in tutti i sacerdoti l’amo-
re per l’Eucaristia e la Beata Vergine Maria,
e il servizio creativo nella carità.
L’ilarità e l’umorismo hanno accompa-
gnato tanti momenti della sua vita. Con bat-
tute simpatiche ha smorzato momenti diffi-
cili ed ha accettato parole che suonavano
come attacchi se non addirittura come
insulti. Tanti tratti ed aneddoti della vita di
padre Angelo, ci rivelano la delicatezza del-
l’animo di quest’uomo che, contemplando
la Bellezza di Dio, ha operato per ridare
bellezza agli uomini che lo hanno avvicina-
to scegliendo (contagiati dal suo esempio)
di collaborare con lui come volontari nello
stesso servizio del nostro frate o lasciando-
si evangelizzare nell’esperienza della loro
malattia e della loro povertà.
La Chiesa continuamente si interroga su
come crescere nella sua comunione interna
e come creare dei legami tra presbiteri e lai-
ci che siano all’insegna della corresponsa-
bilità nell’opera dell’evangelizzazione.
Padre Angelo, che univa intorno a sé gente
altolocata e semplici artigiani, che respon-
sabilizzava e sapeva suggerire ad ognuno il
suo specifico modo di far crescere la cultu-
ra dell’amore, invita anche noi suoi fratelli
e sorelle di oggi a inventare insieme vie e
modi nuovi per aver cura dei poveri e dei
convalescenti di oggi, ammalati soprattutto,
come dice il papa Benedetto XVI, di aridi-
tà dell’anima.
Dio, attraverso questa glorificazione
che avviene oggi e non in tempi passati,
attraverso questo prete che ha vissuto la sua
maturità umana e spirituale a Roma, è pro-
babile che voglia dire qualcosa anche alla
Chiesa che oggi vive in Roma, ai suoi pre-
sbiteri in particolare.
p. Giuseppe Midili, Carmelitano
Giuseppe, il più santo dei santi
Possiamo dire, senza timori e senza
dubbi che Giuseppe è il più santo dei santi
e che, anche se non è un dogma di fede, con
molta probabilità è già con Gesù e con
Maria in corpo ed in anima in cielo. I tre
cuori, che erano uniti sulla terra, saranno
già per sempre riuniti in cielo. Ed è per que-
sto che l’intercessione di san Giuseppe
come padre di Gesù e sposo di Maria è così
potente. Nessuno li ha amati come lui, nes-
suno si è preso cure di loro con tanta solle-
citudine. Giuseppe è l’uomo fedele, sempre
disponibile alla volontà di Dio. Per questo
la sua vita è al centro della storia del mon-
do e della salvezza dell’umanità. Avere
devozione per lui è qualcosa di più che
opzionale.
p. Ángel Peña
3
Eco 209
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riflessi di luce
dalla
Terra
di
Maria
di Stefania Consoli
Dovere
di
Cronaca
È normale quando si è lontani voler sape-
re notizie da casa. In questo modo si parteci-
pa, pur a distanza, alle vicende dei familiari,
degli amici… È un po’ quello che succede a
quanti, dopo aver visitato Medjugorje, rien-
trano nei diversi paesi di provenienza: si
aspettano di trovare qua e là notizie di crona-
ca che li facciano sentire più vicini.
Per diverso tempo abbiamo continuato
con dei piccoli flash a raccontare avveni-
menti, resoconti di visite importanti, sem-
plice cronaca di quei luoghi… Ma ci chie-
diamo: ha ancora un senso? Premesso il
fatto che su internet è possibile trovare le
notizie in tempo reale - per cui se noi le
scrivessimo sarebbero già acqua passata -
ci siamo anche domandati se non dovrebbe
cambiare un po’ l’approccio verso quella
realtà che ha inciso così profondamente
nella nostra vita.
Ogni giorno i mezzi di comunicazione
ci “bombardano” con notizie di ogni tipo e
molte volte i fatti vengono riportati in
modo mediocre, spesso sotto forma di pet-
tegolezzo; in questo modo si appaga solo
una banale curiosità che si nutre di “sensa-
zionale” e ci si abitua a leggere superficial-
mente il nostro tempo.
Possiamo allora comprendere meglio,
alla luce di questo, che non è necessario
sapere i “fattarelli” di Medjugorje
per
rimanere aggiornati, ma è importante cono-
scere quello che pian piano sta avvenendo
nelle anime che si lasciano trasformare dal-
la grazia ricevuta in quel luogo e che conti-
nua ad essere operante ovunque esse si tro-
vino. Avrò quindi notizie da Medjugorje
se saprò guardare dentro di me
, se saprò
scoprire i frutti di un cammino che si nutre
delle parole di Maria, della sua presenza
nella mia giornata, del suo esempio in que-
sti lunghi anni di apparizioni… In questo
modo la notizia di Medjugorje sarò io
E se lascerò operare liberamente il Signore
e sua Madre, ogni giorno ci saranno novità!
Un progetto
che supera
ogni
attesa
Ci avviciniamo pian piano ad un ennesi-
mo anniversario delle apparizioni; a giugno
entreremo nel trentesimo anno della presen-
za di Maria in mezzo a noi. Una lunga sto-
ria… Ogni tanto qualcuno si chiede: quanto
ancora durerà? Cosa deve ancora succedere?
In passato molti episodi eclatanti hanno
marcato la vita di Medjugorje e dei suoi
protagonisti: segni, eventi, testimonianze
clamorose, e poi ci sono i dieci segreti che
ancora rimangono chiusi nel riserbo dei
veggenti… “Figlioli, non dimenticate che
siete tutti importanti in questo grande pia-
no che Dio porta avanti attraverso
Medjugorje. Dio desidera convertire il
mondo intero e chiamarlo alla salvezza e al
cammino verso di Lui che è il principio e la
fine di ogni essere. In modo speciale, figlio-
li, vi invito dal profondo del mio cuore:
apritevi a questa grande grazia che Dio vi
dà attraverso la mia presenza qui…”,
dice-
va Maria il 25 giugno del 2007. Si tratta
quindi di un grande piano che non si può
racchiudere nelle nostre previsioni o
aspettative.
Non possiamo continuare
scrutare l’orizzonte per anticipare gli even-
ti, ma neanche volgere lo sguardo indietro
nel rimpianto di ciò che era e ciò avrebbe
dovuto essere… secondo noi!
Il piano di Dio non solo è grande, è
grandissimo, perché si tratta della salvezza
del mondo intero: non soltanto degli uomi-
ni ma dell’intera creazione e di ogni essere
vivente, perché sia ristabilito il bene per
tutti, così come era all’inizio di ogni specie.
Non perdiamo tempo a girare intorno ai
nostri piccoli progetti, e soprattutto non
chiamiamoci fuori dalla responsabilità del-
la riuscita del piano di Dio: siamo tutti
importanti
. Cerchiamo allora di scoprire
seriamente cosa dobbiamo fare e facciamo-
lo fino alla fine.
IL
DIGIUNO
ci offre
un
cibo più buono
Sembra che le piante nei lunghi mesi
invernali non abbiano bisogno di niente.
Rimangono ferme, quasi addormentate nel-
le loro funzioni vitali, e a chi non le cono-
sce abbastanza possono persino dare l’im-
pressione di essere morte. Eppure la loro
vita è intensa, palpitante, è solo che è con-
centrata verso l’interno per proteggersi dal
rigore invernale, ma anche per prepararsi ad
esprimere vita nuova, nuovi colori e profu-
mi. Si tratta quindi di un tempo importante
per rigenerarsi e dare poi il meglio di sé.
Ogni tanto richiedono un po’ d’acqua, forse
qualche grano di concime, ma per il resto
dei giorni le piante… digiunano!
Non è affatto inappropriato parlare del
digiuno in questi termini. L’idea del digiuno
spesso è solo legata al concetto di peniten-
za, di sacrificio, di espiazione: «Ritornate a
me con tutto il cuore, con digiuni, con pian-
ti e lamenti. Laceratevi il cuore e non le
vesti, ritornate al Signore, vostro Dio per-
ché egli è misericordioso e pietoso… pron-
to a ravvedersi riguardo al male» (Gioele
2,12-13), sentiamo leggere il primo giorno
di Quaresima nelle chiese. Ma bisogna fare
personalmente esperienza di questa pratica
per comprendere che il digiuno del cristiano
ha tutta un’altra valenza.
Torniamo alle nostre piante per scoprire
che il tempo del loro digiuno dagli alimenti
- persino quelli essenziali - non solo non
procura loro morte ma le rafforza così che in
primavera la fioritura è più rigogliosa. Il
periodo del loro digiuno rappresenta dunque
un vuoto ma solo in vista di un pieno, un’as-
senza
che anticipa una presenza…
Mio cibo è fare la volontà del Padre
L’esempio più lampante del digiuno
vissuto come preparazione ad un’azione
più intensa lo dona Gesù stesso, quando per
apprestarsi al suo ministero pubblico si riti-
ra nel deserto per quaranta giorni senza
prendere alcun cibo. Nel silenzio, in pre-
ghiera, ha avuto così modo di creare in sé
lo spazio per incontrare il Padre ed ascolta-
re in pieno la sua volontà da annunciare poi
al popolo. È questo il vero senso del digiu-
no al quale siamo invitati: fare spazio a Dio
dentro di noi per incontrarlo con maggiore
libertà e comprendere il suo pensiero da
tradurre in vita.
Il libro degli Atti degli Apostoli narra
che i credenti digiunavano prima di prende-
re decisioni importanti (At 13,4; 14,23), il
che ci fa comprendere come l’intento del
digiuno dovrebbe essere quello di disto-
gliere lo sguardo dalle cose di questo mon-
do per concentrarsi, invece, su Dio.
Maria, una madre che lascia a digiuno i
figli?
Sappiamo bene che a Medjugorje la
Madonna ha posto l’invito al digiuno come
uno dei cinque fondamenti della sua chia-
mata
, un pilastro sul quale appoggiare l’edi-
ficio della nostra vita spirituale. Ma atten-
zione: si tratta solamente di un sostegno e
non è la vita con Dio alla quale dobbiamo
tendere! Sarebbe troppo poco fermarsi al
mezzo che ci aiuta ad incontrare il Signore
e poi non entrare in comunione con Lui! È
infatti un inganno accontentarsi delle prati-
che religiose senza penetrare il mistero di
Dio che si offre continuamente a noi. In
fondo è solo un modo per mettere a tacere
la nostra coscienza e che ci illude di essere
a posto solo perché abbiamo compiuto i
“doveri rituali” previsti dal nostro credo
religioso. Se per noi è così, significa che ci
cibiamo ancora del lievito dei farisei…
A tavola con i santi
Il digiuno che hanno vissuto i santi nei
secoli e quello che oggi Maria è venuta a
consegnarci è, invece, ben altra cosa. È una
potentissima arma spirituale che ci aiuta a
distaccarci dalla dipendenza dai beni, per
quanto necessari essi siano. Se colmiamo i
nostri vuoti interiori riempiendo lo stoma-
co di cibi e di bevande che continuamente
stuzzicano il nostro appetito; se ci riempia-
mo la testa di immagini, suoni, trasmissio-
ni televisive e distrazioni di ogni genere pur
di evitare la fatica del deserto interiore, di
quelle notti necessarie allo spirito per puri-
ficarlo e rafforzarlo; se deleghiamo a rap-
porti superficiali e a chiacchiere inutili il
compito di farci compagnia pur di non
avvertire il peso della solitudine… se
avviene tutto questo significa che dobbia-
mo seriamente cominciare a digiunare!
Solo così saremo in grado di riprendere il
dominio di noi stessi sulle passioni che non
che non ci rendono felici, ma al contrario ci
legano a sé come droghe invisibili. Ce ne
accorgiamo quando cominciamo a privar-
4
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T
UTTE LE
D
ONNE SONO
M
ADRI
Tutte le donne sono madri,
poiché danno la vita al genere umano,
che senza la loro maternità
sarebbe disumano.
Esse danno la vita all’umanità
con il proprio amore,
la propria bellezza e tenerezza,
e lo nutrono con generosità e bontà.
Senza la donna-madre
il mondo sarebbe più deserto del deserto
e più freddo del ghiaccio.
Dio ha scelto la madre
come sua diretta collaboratrice
e con lei ha continuato la creazione
dell’uomo e del mondo.
Quando l’uomo, con la sua colpa,
ha spezzato il legame con Dio
ha scelto lei come collaboratrice
per la sua salvezza (Gen 3,15).
Senza la madre, il mondo
sarebbe imperfetto
e l’uomo sarebbe rimasto polvere
o ad essa avrebbe fatto
ignobilmente ritorno.
La donna ci ha mandati via dall’Eden,
la Madre ci ha ricondotti ad esso.
Nel suo grembo ci ha condotti a Dio
e, come ad un Padre,
a Lui ci ha donati con un bacio.
La madre è il nostro destino.
In noi e con noi
non c’è nulla che non sia suo.
È morta quando ci ha donato tutto,
quando non aveva più nulla da darci.
Già prima della morte
era morta a sé
per poter vivere in noi,
con noi e per noi,
(da: La madre - L. Rupcic)
Ho paura di dire di si, o Signore
Dove vuoi condurmi? Ho paura di
avventurarmi, ho paura di firmare in
bianco, ho paura del sì che reclama altri
si … Ma tu, o Signore, mi dici: “Ho biso-
gno del tuo sì, così come ho avuto biso-
gno del si di Maria per venire sulla terra,
perché debbo essere nel tuo lavoro, deb-
bo essere nella tua famiglia, debbo essere
nel tuo quartiere. Ho bisogno del tuo sì
per stare con te e scendere sulla terra. Ho
bisogno del tuo sì per continuare a salva-
re il mondo!”. O Signore, ho paura della
tua esigenza, ma chi ti può resistere?
Affinché venga il tuo regno e non il mio,
affinché sia fatta la tua volontà e non la
mia, dammi la forza di rispondere con un
sì gioioso alla tua chiamata, al tuo proget-
to di vita su di me …
(Michel Quoist)
cene, quando resistiamo al loro richiamo
suadente, quando sentiamo i morsi della
fame, della sete, del bisogno... Digiunando
siamo perciò in grado di opporre una bar-
riera al male che si annida nel nostro cuore
attraverso il peccato, che è spesso una for-
ma di ingordigia.
Una finestra spalancata sull’anima
Un’altra immagine ci aiuta a conoscere
meglio il digiuno. Immaginiamo una fine-
stra aperta sulla nostra anima: fa penetrare
la luce dall’esterno e noi possiamo scorge-
re la polvere che vi è depositata e che pri-
ma non riuscivamo a vedere, come capita
con gli oggetti in una stanza nella quale
facciamo improvvisamente entrare il sole.
Uno stile di vita più sobrio, meno soggetto
ai diversi richiami esterni che catturano la
nostra attenzione, ci apre interiormente e
noi possiamo vedere il Mistero che vive in
noi, nel profondo, e che è la vera Luce che
ci mostra le cose nella piena verità del loro
essere ed esistere. Troppi strati dentro di
noi si accumulano e col tempo si induri-
scono, impedendoci di percepire con chia-
rezza Dio, i suoi impulsi, i suoi desideri
per la nostra vita. In questo modo l’imma-
gine divina impressa nella nostra anima
non potrà mai emergere e mostrare quell’i-
dentità che ci fa essere unici in Dio, origi-
nali, senza dover dipendere da stereotipi
esterni che compiacciono solo il nostro
bisogno di sicurezza.
Prigionieri dell’invisibile
Ci siamo chiesti perché tante persone
oggi sono in sovrappeso, e tra questi pur-
troppo molti bambini? Forse perché il mon-
do non offre più Dio come alimento indi-
spensabile, completo, capace di sostenere il
loro cammino nella vita e donare gioia al
gusto e al cuore. È saggio allora accogliere
il digiuno come un bene prezioso che ci
pone nuovamente in contatto con il tempio
interiore della nostra anima, per poi farne
dono a Dio, nella certezza che Egli userà
quello spazio nel migliore dei modi: riem-
piendoci di Sé, comunicandoci i suoi beni
attraverso canali più puri, più sgombri e
disponibili a lasciarsi invadere da Lui. In
questo modo saremo in grado di capire che
è Dio che ci procura vita e che non dobbia-
mo provvedere da soli a noi stessi con avi-
dità, ingolfando il nostro corpo per “farne
scorta”. Ristabiliremo così il giusto rappor-
to di dipendenza dal Padre e potremo
meglio apprezzare ogni dono che l’abitudi-
ne ci fa sembrare scontato.
Più forte di un esercito
Molte volte Maria lo ha ripetuto: con la
preghiera e il digiuno possiamo fermare
anche le guerre. È vero. Forse dovremmo ini-
ziare a crederci… Tuttavia sarà possibile solo
se la nostra anima diventa quel punto nell'u-
niverso in cui si arrestano i conflitti tra le
opposte tendenze dello spirito e della carne e
tutto si pacifica, mentre si ristabilisce l'armo-
nia prevista al principio delle cose.
Per gli ITALIANI il Seminario
di silenzio, preghiera e digiuno
sarà guidato da padre Miljenko
dal 11 al 16 aprile 2010
nella Casa Domus Pacis
Info: Anna Fasano
cell. 335 5780090
email liveloveuniversal@libero.it
(Per la data destinata alle diverse nazionalità
consultare il sito ufficiale della Parrocchia
http://medjugorje.hr.nt4.ims.hr/).
A MEDJUGORJE:
T
ESTIMONIANDO
Per me
Medjugorje è casa!
Per me, Medjugorje… Innanzitutto è
stato il luogo del mio risveglio spirituale
attraverso un incontro straordinario con
Gesù attraverso la fede. Parlo di incontro
straordinario perché ho sperimentato pro-
fondamente non solo la presenza sensibile
di Cristo nel cuore, come una serafica pene-
trazione di quell’Amore purissimo, incan-
descente spiritualmente e sconvolgente
umanamente che ti fa scoprire di essere
creatura amata da Dio, ma anche la certezza
di una chiamata nuova e sorprendente per
me, sposata e madre di tre figli; per me,
impegnata nel volontariato ospedaliero; per
me che ero sempre di corsa; per me che ero
molto attiva, per me che ero sicura… di me!
Mi sono trovata all’improvviso sola,
con lo spirito immerso nelle tenebre, spa-
ventata nel profondo e spogliata di ogni
sicurezza; preda di timori angoscianti, dila-
niata dai dubbi, dilaniata dai pensieri più
terribili… In tutto questo deserto interiore
capivo solo una cosa: che Dio mi stava
donando il suo amore e la sua benedizione,
che nel mio deserto spirituale Gesù era libe-
ro e mi donava la sua parola di misericordia
che mi suggeriva di stare serena nella prova
perché Dio mi stava toccando interiormen-
te, nello spirito, per guarirmi ed insegnarmi
a pregare con fede. Sì, è proprio questo il
dono grande che ho ricevuto: la grazia di
una preghiera profonda che mi aiuta a rima-
nere silenziosa mentre prego nel segreto
della mia anima. Umanamente mi sento
incapace di esprimere qualcosa di buono,
ma rimanendo immersa nel mio silenzio
interiore avverto che dal mio cuore esce
amore per tutti e diventa adorazione...
A Medjugorje ho incontrato davvero
Dio e da quel momento la mia vita è cam-
biata. Ho imparato ad essere più docile
morendo ogni giorno a me stessa, perdo-
nando chi fa il male, offrendo la mia vita a
Dio, pregando per chi nel mondo soffre, ed
è povero, umiliato, disprezzato… ringra-
ziando ogni giorno il Signore per il suo
amore infinito. La mia vita è cambiata pro-
fondamente, ma solo dopo che ho permes-
so a Dio di guarirmi!
A Medjugorje ho vissuto – e ogni volta
che ci torno lo rivivo - quel passaggio spiri-
tuale chiamato semplicemente Pasqua: il
distacco dalle tenebre per mezzo della Luce
divina, una porta segreta da scoprire per
mezzo della fede. Ed è proprio questa porta
che si è aperta al mio sguardo interiore
dopo aver segretamente pregato Dio di
accogliere il mio desiderio di offrire la mia
vita a Lui senza riserva alcuna, pur nella
mia umana debolezza, per diventare capace
di sacrificio di amore per Gesù.
A Medjugorje ho incontrato l’Amore
divino allo stato puro; in nessun altro luogo
ho respirato spiritualmente così tanta pace!
Ho visitato molti altri santuari, ma solo a
Medjugorje ho percepito chiaramente la
presenza viva di Gesù come amico fedele,
vicino agli uomini e alle loro sofferenze. È
una forza di amore davvero singolare…
Nella mia giornata non mancano le pro-
ve, i dispiaceri, le preoccupazioni, ma vivo
confortata dalla preghiera e dalla certezza
5
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Senza Indugio
di
Cecilia Appugliese
Quando ci sentiamo chiamati dal
Signore, quando facciamo esperienza della
sua presenza, non possiamo fare a meno di
seguirlo e fare ciò che ci chiede, senza
indugio.
Indugiare significa essere diviso tra
due chiamate: quella ancorata alla vita
quotidiana, ai nostri attaccamenti, ai nostri
affetti, ai nostri progetti e quella di mag-
gior respiro che ci chiede di andare oltre
tutto questo. Allora stiamo lì a calcolare se
ci convenga rimandare la risposta al
Signore per paura dell’ignoto o seguirlo
subito, senza indugio.
I pastori, udito l’annunzio dell’angelo,
ne furono talmente presi nell’anima e nel
cuore, che non si fermarono a valutare se
valesse la pena o no di allontanarsi dalla
grotta in cui stavano riposando e correre il
rischio di lasciare il gregge jncustodito, ma
“senza indugio andarono e trovarono Maria
e Giuseppe e il bambino”.
Senza indugio… I pastori, dunque par-
tirono, trovarono il bambino e poi riferiro-
no ciò che avevano visto, provocando stu-
pore in chi li ascoltava; tutto questo produs-
se in loro tanta gioia che “tornarono glori-
ficando e lodando Dio”. Peraltro anche
Giuseppe rispose prontamente all’esorta-
zione dell’angelo che, apparsogli in sonno,
lo invitava a “non temere di prendere Maria
come tua sposa, perché...” Eppure, umana-
mente parlando, doveva essere molto diffi-
cile per lui credere ad un evento tanto
straordinario ed inaudito, come quello di
cui era protagonista Maria, un concepimen-
to per opera dello Spirito Santo… ma
Giuseppe si fidò e partì senza indugio ver-
so l’ignoto. Se all’invito del cielo ci fermia-
mo a riflettere, a ponderare, il nostro cuore
sarà sempre diviso e non potremo trovare la
gioia e la pienezza della vita.
Anche noi abbiamo ricevuto una
chiamata a Medjugorje: alcuni hanno
risposto, altri dopo un primo momento di
entusiasmo, si sono lasciati risucchiare dal-
la quotidianità della vita con tutti i suoi
affanni, dalla mentalità del mondo circo-
stante, dai dubbi, dalle incertezze ed hanno
imboccato la strada della tristezza, della
cupezza (ne conosco tanti), mentre altri
hanno accolto senza riserve l’invito di
Maria, abbandonandosi a lei, fidandosi di
lei. Hanno scelto la strada che all’inizio è
più faticosa, affrontando quelle incompren-
sioni e sofferenze che sempre si patiscono
quando non si segue la mentalità del mon-
do, ma poi hanno ricevuto e ricevono grazie
su grazie, soprattutto quella della pace, del-
l’amore incondizionato verso tutti, della
gioia che non si spegne neppure nel dolore.
Senza indugio… Non si può servire due
padroni, Dio e Mammona. Quando vivia-
mo in comunione con Dio il cuore automa-
ticamente si dilata partecipando al dolore
del mondo, soffrendo per gli errori di chi ci
ama e di chi non ci ama e sentiamo nasce-
re nel cuore il desiderio di offrire la nostra
vita per coloro che sono nell’errore
,
affinché anch’essi, senza indugio, abbando-
nino la strada dell’errore per imboccare
quella dell’amore. Senza fermarsi a fare
calcoli, ma… senza indugio.
che il Signore accoglie la mia “piccola”
offerta come fosse un grande dono d’amore
per Lui! Soltanto amando Dio si diventa
Chiesa; soltanto amando gratuitamente si
entra nella comunione vera con il Signore e
con i fratelli, ma occorre stare in un ascolto
profondo per poter servire i fratelli secondo
Dio
e non secondo me! Proprio a
Medjugorje ho compreso che il vero bene è
frutto della volontà divina e non della volon-
tà dell’uomo; per questo bisogna spogliarsi
di tutto, diventare poveri di quello che ci ren-
de schiavi ed essere ubbidienti a Dio dimen-
ticando se stessi e le proprie ragioni. Basta
un poco di sincerità davanti a Lui, ed Egli ci
coprirà di grazie e benedizioni…
Torno spesso a Medjugorje perché lì
mi sento a casa e avverto di essere un mem-
bro vivo del Corpo mistico, della Chiesa
universale, completamente unita a Cristo
per mezzo dello Spirito Santo. È un miste-
ro grande quello che avviene a Medjugorje:
non c’è niente di bello da visitare, anzi
spesso sembrano mancare anche le sempli-
ci comodità alle quali siamo abituati; un
luogo privo di attrattive e in cui si soffre
molto caldo d’estate e freddo d’inverno…
Il mistero di grazia che si vive a
Medjugorje viene dall’Alto e lo si capisce
solo nella misura in cui apriamo il cuore a
Dio! È a quel punto che Medjugorje diven-
ta il “luogo più bello del mondo”, diventa
un luogo “pieno di tutto”, diventa un luogo
indimenticabile. Se ti lasci conquistare dal
mistero divino presente a Medjugorje, quel
luogo diventerà per te casa, diventerà per te
riposo, diventerà per te Madre. Ma è un
mistero che si può capire solo nella fede!
Grazia di Milano
L’Associazione MIR I DOBRO onlus
organizza per l’intera giornata di
domenica 18 Aprile 2010
l’undicesima edizione dell’incontro
nazionale annuale di preghiera
al PALASHARP di MILANO
Via S. Elia, 33
Avrà come filo conduttore delle medita-
zioni e delle preghiere il tema:
“Maria Madre del sacerdote”
Presiederà l’incontro Padre Miljenko,
vice parroco di Medjugorje. Saranno
presenti anche i veggenti Marija e
Jakov. Ascolteremo diverse testimonian-
ze di persone coinvolte nell’apostolato
richiesto dalla Regina della Pace.
Info: tel 0332.7613
e.mail: info@miridobro.it
Piccoli, grandi miracoli
Molte volte le cose finiscono, non si sa
come né perchè, ma finiscono. Subito a cal-
do siamo portati a prendercela con tutto e
tutti; pensiamo che sia sempre colpa degli
altri o degli eventi inattesi: “Se quello non
fosse successo… se quella persona non si
fosse intromessa… sarebbe filato tutto
liscio come l’olio”
, pensiamo. Ma purtrop-
po non è così.
Una cosa però è certa: il demonio agi-
sce insinuandosi nelle nostre vite e nelle
nostre famiglie per rovinarle e portarle allo
sfascio. E se è lui a dominare, la luce non
riesce a entrare. Tuttavia basta guardarsi
bene intorno per notare che, sebbene picco-
lo, esiste sempre uno spiraglio che fa entra-
re aria pulita ed anche un po’ di luce.
Ho da raccontare una piccola storia
che contiene un grande miracolo. La fami-
glia di una mia amica da circa due anni si è
letteralmente sbriciolata. Un motivo non
c’era, o meglio ce n’erano molti come in tut-
te le situazioni di questo tipo, ma non c’era
neanche via d’uscita; solo uno spiraglio d’a-
ria pura: la preghiera. È solo pregando, infat-
ti, che la mia amica è riuscita a superare la
disperazione che si era impadronita di lei;
soltanto alla preghiera ha affidato la speran-
za di ritrovare la luce e di ricostruire qualco-
sa che sembrava inesorabilmente crollato.
Per amore del figlioletto, e per soprav-
vivere, ha cercato col tempo di instaurare
un rapporto perlomeno civile con l’ormai
ex-marito; così per la prima volta dopo la
separazione hanno accompagnato insieme
il loro bambino ad una festicciola di carne-
vale, dove ero presente anch’io con la mia
famiglia.
Generalmente porto intorno al collo una
catenina con la Medaglia miracolosa (che
raffigura la Vergine Maria). Notandola la
mia amica mi confida di avere da poco
smarrito la sua. “Ma io ne ho un’altra!”,
esclamai. “Ci sono particolarmente legata
perché mi è stata regalata da uno scono-
sciuto proprio all’uscita dall’ospedale dove
avevo appena dato alla luce Luca, il mio
secondogenito…”. Capii subito che in quel
momento serviva più a lei. In fondo quella
medaglia mi era arrivata attraverso le mani
di un angelo proprio con lo scopo di pro-
teggere la mia famiglia. Allora, con la stes-
sa intenzione, l’ho regalata alla mia amica!
I miracoli non si fanno aspettare. Quella
stessa sera proposi loro di fermarsi a cena a
casa nostra. Tra incredulità e imbarazzo,
accettarono. Abbiamo cenato e chiacchie-
rato amabilmente mentre i figli giocavano.
Lei aveva gli occhi brillanti e lui il sorriso
stampato sul volto… Il piccolo Lorenzo era
visibilmente contento e spero tanto che
entrambi abbiano colto quella sfumatura
negli occhi di un bambino che si sente sicu-
ro perché vicino a mamma e papà.
Tre giorni dopo un’altra cena, ma questa
volta da soli...
Fra un mese andremo insieme
Medjugorje. Credo non sia finita qui. Sono
sicura che Maria renderà ancora più grande
il piccolo miracolo che la sua Medaglia ha
generato, affinché la gioia di quel bimbo e
dei suoi genitori sia sempre più vera e dura-
tura. Aiutatemi a pregare per loro; io lo sto
già facendo.
Cinzia Vinchi
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I lettori scrivono
Martine da Barcelonnette (Francia) -
Cari amici in Cristo, che gioia ricevere di
nuovo Eco! Continuate a credere che Eco è
un dono di Dio per tutti noi! Coraggio, non
siete soli, anche se vi sono stati messi tanti
bastoni tra le ruote… Che la nostra preghie-
ra vi sostenga tutti.
Suor Marie Benoît e tutte le sorelle del-
la Comunità (Monastero delle Benedettine
dell’adorazione perpetua di Craon, Francia)
-
Cari amici dell’Eco di Maria, grazie per
averci di nuovo inviato il vostro giornale! È
stato un po’ come la visita di un vecchio ami-
co che non ha mai lasciato il nostro cuore…
Anne dalla Francia - Grazie per il
lavoro meraviglioso che state compiendo!
Continuate la pubblicazione dell’Eco che fa
un gran bene…
Marie Céline dalla Francia - Vi rin-
grazio per la vostra fedeltà. Ricevo da tanto
tempo la vostra rivista che distribuisco nel
mio gruppo di preghiera. La vostra fedeltà
mi ha molto sostenuta nelle mie difficoltà.
Grazie ancora a tutta l’équipe di Eco, che la
Vergine vi ricopra con la sua grazia.
Carla Benedetto da Mathi (TO) -
Come consuetudine, continuo a distribuire
l’Eco di Maria nel paese dove vivo, Mathi a
circa 30 km da Torino. Attraverso un’offer-
ta vogliamo esprimere la nostra gioia e gra-
titudine per la possibilità che abbiamo, di
ricevere e leggere l’Eco…
Anna Gambino da Saronno (Italia) -
Grazie di cuore per il vostro tanto prezioso
Eco di Maria. Vi unisco il mio costante pic-
colo aiuto. Che Maria continui a benedirvi
e premiarvi per tutto il bene che fate…
Marta Vega da Adroguè (Argentina) -
Vi siamo molti grati per l’invio bimestrale
dell’Eco, il cui contenuto ci permette di
arricchirci spiritualmente e di rimanere in
comunicazione con la nostra Madre del
Cielo attraverso i suoi messaggi. Che Dio
benedica tutti quelli che lavorano per dif-
fondere quello che Maria ci dice con il suo
infinito amore.
Padre Theobald dalla Tanzania - Siate
benedetti voi che lavorate per farci arrivare
nella nostra terra lontana parole che fanno
sentire più vicini a Maria e a tutti i suoi figli
sparsi per il mondo...
Il rumore
come via di fuga
Sembra quasi che le persone abbiano
bisogno del rumore! Siamo diventati schia-
vi dei suoni… Il continuo aumento del
rumore assordante è segno di una cultura
che, cercando di fuggire da sé, spesso si
rifugia nel torpore di una situazione che le
fa cercare di dimenticare i problemi di ogni
giorno!”.
Considerazioni quanto mai appropriate
per noi che viviamo in una società mecca-
nizzata da tutti i punti di vista, in ogni
ambiente, ma soprattutto nelle grandi città,
metropoli superaffollate e per certi versi
diventate invivibili. Ed è proprio
l’Arcivescovo della grande Rio de Janeiro,
Mons. Tempesta, a scriverle in un comuni-
cato diffuso dalla Conferenza Nazionale dei
Vescovi del Brasile: “Al giorno d’oggi
viviamo in un mondo circondato da suo-
ni e rumori
, e per questo è molto difficile
sperimentare il silenzio. C’è una pratica di
star sempre ad ascoltare uno o più apparec-
chi elettronici allo stesso tempo per non
pensare molto alla vita ed essere distratti
dalle amarezze del quotidiano. Siamo spin-
ti dalla ricerca incessante di denaro; corria-
mo senza sosta per accumulare beni, e in
questa ricerca siamo avvolti dal rumore di
macchine, fax, campanelli, clacson, radio,
TV, telefono cellulare, musica assordante,
agitazioni e grida. Il silenzio è necessario
per l’equilibrio personale e soprattutto
per incontrare Dio e noi stessi
”.
Il bisogno di silenzio è insito nell’uo-
mo, fa parte della sua natura più intima, lì
dove l’uomo incontra se stesso e incontra
Dio, la “Trinità che abita il silenzio”. A
questo proposito l’Arcivescovo ricorda che
“anche Gesù è molto chiaro parlando della
necessità della preghiera interiore, quando
sottolinea l’importanza del silenzio perché
la figura del Padre possa risplendere in noi,
e per questo Cristo consiglia: chiudere la
porta della stanza, dire poche parole, resta-
re in silenzio alla Sua presenza. Questo sta-
re con il Padre non è altro che la preghiera
della quiete, nella quale c’è piena gioia solo
per il fatto di stare davanti al nostro Dio.
La nostra vita ha bisogno di questo equi-
librio di silenzio, che grida la pace… Il silen-
zio cristiano è pieno della Parola di Dio e
illumina le nostre vite. Dovremmo renderci
conto dell’importanza del silenzio per la pre-
ghiera e la vita, un atteggiamento che pro-
muove la contemplazione delle verità eterne
e favorisce la ricerca del volto di Dio”.
Non è qui…
Gli uomini pensavano che fosse irrag-
giungibile, ma s’ingannavano. Era vicino
Dio alle sue creature, e per convincerli si è
fatto uomo tra gli uomini, figlio, fratello e
amico… Viveva in Galilea, una regione ai
margini dell’antica Palestina, crocevia di
nazioni, tra paganesimo e licenziosità.
Dall’alto della pia Gerusalemme se ne parla-
va con altezzoso disdegno, ma è proprio in
quella terra che Gesù ha voluto crescere, pre-
dicare e mostrare il vero volto del Padre… Si
era abituati, allora, a un Dio lontano che
esercitava la propria signoria attraverso un
potere che intimoriva e Lui ha scelto invece
di essere con noi; ha sconvolto l’antica con-
cezione mostrando una sovranità fatta di
solo amore.
Proprio in virtù di questo amore che
superava ogni altro amore - perché capace
di vero sacrificio - lasciò la Galilea e si
avviò in salita verso la città del Tempio, che
lo attendeva per condannarlo e appenderlo
a una croce. Fuori le mura, per non rischia-
re di sporcarsi…
I suoi discepoli lo accompagnavano
ubbidienti, sebbene un po’ perplessi.
Tentavano di essergli fedeli nonostante la
tensione fosse al culmine tra dispute e giu-
dizi; mentre Lui, serenamente, continuava
ad essere sovrano.
Poi una serie di addii in pochi giorni li
colse impreparati... Quello strano discorso
il giovedì, per Pasqua; non lo capivano:
«Che cos’è questo che ci dice: Ancora un
poco e non mi vedrete, e un po’ ancora e mi
vedrete?» (Gv 16,17). Li confondeva, come
quel gesto che lavava loro i piedi. Non c’e-
ra più il Maestro: sembrava solo un servo…
Qualche ora più tardi nel silenzio della
notte si era allontanato: «Restate qui,
vegliate…», mentre Gesù tra gli ulivi
addormentati sudava sangue e beveva da un
calice amarezza. Fu l’aurora e un bacio a
strapparlo dalle loro attese. Poi, nello spa-
vento, solo la fuga offriva loro scampo.
Tutto è finito... Gesù è morto! …No,
aspettate: «Non è qui. È risorto… Presto,
andate a dire ai suoi discepoli: È risuscitato
dai morti, e ora vi precede in Galilea; là lo
vedrete» (Mt 28,6 -7). Quanti eventi, quan-
te sorprese. Tutto così in fretta, tutto inatte-
so. E in ultimo ancora un altro addio...
Appuntamento in Galilea! Ma perché
desiderava rivederli proprio su quel lago
che fu il teatro del loro primo incontro?
Scrive Éloi Leclerc (da Pasqua in
Galilea): “La Galilea era la loro piccola
Patria. Laggiù tutto aveva avuto inizio. Lo
choc della resurrezione rischiava, nello spi-
rito dei discepoli, di strappare Gesù alla
nostra umanità, alla nostra storia, e di
proiettarlo in un universo mitico, di gran-
dezza contemporaneamente affascinante e
spaventosa.
Era urgente collegare l’evento della
risurrezione a tutto quello che l’aveva pre-
ceduto in Galilea, agli umili sentieri del
Maestro in compagnia dei suoi discepoli.
Essi dovevano scoprire che non vi era frat-
tura tra il Gesù della storia e il Gesù della
gloria. E che il vincitore della morte era
proprio quell’uomo così vicino, così mera-
vigliosamente umano che essi avevano
conosciuto e frequentato. (…)
Gesù non ha per nulla rinnegato la pro-
pria umanità. È sempre quell’uomo umile e
vicino ai propri discepoli. Ritorna dai suoi
fratelli con la stessa semplicità e con la stes-
sa dolcezza. Ed essi lo ritrovano più vivo
che mai e più vero che mai nel loro contesto
familiare, sulle rive del lago (Gv 21). E le
piaghe delle sue mani, dei suoi piedi e del
costato sono i segni del nostro destino di
debolezza e di sofferenza, di umiliazione e
di morte. Questo destino il Signore non l’ha
rifiutato. L’ha assunto nel proprio cuore per
colmarlo della sua luce (…).
Laggiù a Gerusalemme, nella casa in
cui erano nascosti, tremanti di paura, la
resurrezione del Signore poteva apparire
loro solo un evento opprimente, sconvol-
gente, in rottura con tutto ciò che essi ave-
vano vissuto con Gesù di Nazaret e, conse-
guentemente, privo di senso. L’evento
andava molto oltre la loro capacità di com-
prensione.
Ma nella loro Galilea, sulle rive del
lago, sotto quel cielo libero e puro, era dato
loro di ritrovare il Maestro nella sua umani-
tà. L’evento non aveva più il suo aspetto
spaventoso. Senza perdere nulla della sua
grandezza, appariva in sintonia con la loro
semplicità. Dio illuminava improvvisamen-
te il loro cuore, facendo scoprire, nella glo-
ria del Risorto, il senso di ciò che avevano
vissuto seguendo Gesù di Nazaret.
Quell’uomo che i discepoli hanno cono-
sciuto e seguito è lo stesso che si rivela oggi
Signore della gloria. E benché Signore, egli
resta loro fratello in umanità”.
S.C.
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Villanova M., 1° marzo 2010
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Don Angelo,
dieci anni di beatitudine
in cielo
Sembra ieri ma sono passati già dieci
anni da quando DON ANGELO ha
lasciato il suo corpo sulla terra e
si è avviato lungo i sentieri che
portano al cuore della
Trinità, in cielo. La malattia
lo aveva penalizzato ormai
da tempo, riducendo i suoi
muscoli e diminuendo la
capacità di movimento,
fino a rubargli il respiro.
Ma sino all’ultimo era pre-
sente, attento a compiere quel-
lo che il Signore aveva previsto
per la sua ultima stagione terrena:
abbandonarsi sempre più alla volontà di
Dio, alla sua guida, alla sua iniziativa, in
tutto.
Era un uomo temprato da uno stile di
vita sobrio, disciplinato, nella fede come
nel quotidiano; un uomo abituato alle
rinuncie e al sacrificio, capace di autocon-
trollo e di guidare gli altri con autorità.
Eppure nei mesi finali del suo percorso ha
saputo tradurre quest’attitudine un po’ rigo-
rosa in totale docilità, per lasciarsi plasma-
re senza la minima resistenza, perché si
fidava, conosceva quel Dio che lo chiamava
a Sé e che desiderava perfezionarlo prima
del suo passaggio definitivo.
Chi lo conosceva bene aveva sperimen-
tato la sua bontà, la generosità, la totale
dedizione agli altri e alla missione che il
Signore gli aveva affidato: la parrocchia di
Villanova Maiardina (Mantova) e l’Eco di
Maria. Nell’essenzialità di una canonica di
campagna, circondato da persone semplici,
senza pretese, spesso bisognose, don
Angelo comunicava vita attorno a sé senza
esibizionismo, con umiltà, sebbene fosse
chiaro a tutti che era lui al timone e biso-
gnava stare alle regole… Un po’ burbero e,
tuttavia, tenero come solo un buon padre sa
esserlo.
Il nostro Pietro Squassabia, sin dalla
giovinezza “alla scuola” di don Angelo e
accanto a lui fino all’ultimo respiro, ricor-
da: “Tra i suoi svaghi preferiti di bambino
c’era il piacere di scovare i nidi di uccelli
che deponevano le uova lungo i filari di
alberi della sua campagna. Anche da adulto
manteneva questa passione: ecco, questo è
un nido di usignolo, diceva, e quello è di
merlo, quest’altro non so, forse è di frin-
guello
. Poche cose interrompevano la sua
preghiera da adulto, forse nessuna: a volte
faceva una breve pausa, durante la preghie-
ra, per ascoltare l’usignolo che cantava sui
rami prossimi alla canonica.
La sua ricerca di autentico e di vero lo
portò a capire l’importanza della preghiera
ed in modo particolare di quella davanti al
S.S. Sacramento, come prolungamento o
anticipazione della celebrazione Eucaristica.
Davanti a Gesù esposto passava lunghe ore:
diceva a noi ragazzi di mettere il nostro cuo-
re accanto a quello di Gesù e di attendere
accanto a Lui. Traeva da questa preghiera
una forza che trasformava il suo essere e dif-
fondeva luce a chi gli stava attorno”.
L’amore per Maria era grandissimo,
soprattutto da quando si era recato a
Medjugorje per la prima volta nel 1984,
i Messaggi della Vergine diventarono da
subito veri fari di luce per i suoi passi e per
quelli che lo seguivano sul cammino. Fu
proprio dalla richiesta di commentare per “i
suoi” tali messaggi che prese vita - e nel
tempo un corpo sempre più formato - il pic-
colo Eco di Medjugorje: inizialmente un
semplice foglietto ciclostilato e poi man
mano il giornale che oggi conoscia-
mo… Dire che la mano provviden-
te e materna di Maria abbia guida-
to ogni cosa, è troppo poco. Don
Angelo ci metteva la sua intelli-
genza, la disponibilità incondi-
zionata, le sue capacità, il tempo;
ma era Maria a fare tutto il
resto… Immagino che sia stata
proprio Lei, il 3 marzo del 2000, ad
andare a prenderlo dal letto della sua
infermità per portarlo a Gesù, dopo cin-
quanta e più anni di sacerdozio a imitazio-
ne di Cristo.
Continua Pietro, ricordando quei
momenti: “Gli ultimi tre anni della sua vita
stati i più fecondi della sua esistenza terre-
na, perché, venute meno le sue forze sulle
quali una persona dinamica ed attiva come
don Angelo necessariamente aveva fatto
affidamento, il suo animo si andava sempre
più purificando e si faceva sempre più
attento alle realtà del cielo. La malattia ha
compiuto in lui l’opera più grande.
Invece di renderlo cupo, lo aveva trasfor-
mato in una persona sempre più serena: gli
ultimi giorni, in cui la malattia aveva tolto
ogni forza, persino la facoltà di parlare,
sono stati i più ricchi di insegnamenti per
noi che lo frequentavamo… Era vicino alle
realtà celesti. Sentiva i beati che lo chiama-
vano e questo ce lo diceva: “Penso di non
ritornare a Villanova perché sento i beati
che mi chiamano lassù, mi chiamano verso
di loro
”. Anche la sua malattia non la con-
siderava una disgrazia, ma un frutto di un
piano provvidenziale e lo diceva ripetuta-
mente a quanti lo andavano a trovare: “Voi
mi chiedete come sto, ma non ha nessuna
importanza come sto io. Faccio quello che
dicono i medici ma non in vista di una gua-
rigione perché la mia malattia è Dio che la
vuole, perché Dio chiama alcune persone
ad essere più vicine a Lui e a partecipare
alla sofferenza della croce per la salvezza
del mondo
”.
Auguri don Angelo! È bello, a dieci
anni dalla tua partenza da qui, poterti augu-
rare una pienezza di vita sempre più vera,
luminosa e gioiosa in Colui che ti ha creato
e che attraverso di te si è comunicato a tan-
te persone nel mondo, che oggi leggendo
Eco sicuramente ti ricordano con ricono-
scenza e ti benedicono.
Stefania Consoli per la redazione
insieme a l’Equipe dell’Eco di Maria
Solo per amore
Solo per amore si può dare tutto senza
aspettarsi niente. Solo per amore il seme
muore senza sapere se produrrà frutto. Solo
per amore si può concepire il sacrificio
come un atto possibile, ragionevole e ricco
di senso anche quando non s’intravede
neanche da lontano la promessa.
Un vuoto a perdere, un investimento
senza prospettiva certa, una firma in bian-
co… Questo dovrebbe essere l’attitudine
costante del cristiano che sente l’invito di
Dio a donarsi a Lui senza riserve, per
diventare un “sì” alla volontà divina che ci
chiama e che spesso rimane celata nel
mistero, per poi rivelarsi passo dopo passo,
mentre si cammina.
Solo per amore si può sostenere il peso
del sacrificio che richiede la rinuncia ai
beni e non al Bene; la mortificazione e non
la morte; la disponibilità a vivere in perdita
e non da perdenti; perché in questa docilità
saremo spazio aperto a Dio che combatterà
in noi la battaglia contro il Male, e come
sempre ne uscirà vincente.
Solo per amore, perché l’Amore ci
attrae e ci innamora, ci invita a perdere di
vista ciò che passa senza sperare recupero,
per consegnarci tesori che non incontrano
la ruggine.
Solo per amore, perché non siamo eroi:
è una strada che costa il nostro sangue, che
accumula lacrime e ci costringe a supplica-
re… Solo per amore; perché non ci sono
logiche che reggano il confronto, perché si
perde la testa quando si fa tacere la ragione
per dar parola solo a Lui, all’Amore.
S.C.
«Di questo gioisce il mio cuore,
esulta la mia anima;
anche il mio corpo riposa al sicuro,
perché non abbandonerai
la mia vita nel sepolcro,
né lascerai che il tuo santo veda la corruzione.
Mi indicherai il sentiero della vita,
gioia piena nella tua presenza
dolcezza senza fine alla tua destra».
(Salmo 15)
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