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Tacendo si ascolta il Cielo

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Siamo nel tempo in cui la Chiesa ci pro-pone di abitare un luogo particolare, il deserto della Quaresima. È una dimensio-ne questa che ci prepara a vivere la Pasqua nelle giusta predisposizione interiore: vuo-ti del superfluo e più aperti alla presenza di Dio, che a Pasqua si farà, dopo l’avventura della Croce, luce piena, resurrezione, glo-ria. A questo ci invita il cammino quaresi-male: alla mèta da raggiungere. Ma per far-lo bisogna utilizzare quegli strumenti che rendono ancora più efficace la nostra pre-parazione in vista del premio. Tra gli stru-menti suggeriti quello maggiormente sotto-lineato è il digiuno, ossia l’attitudine alla rinuncia di quanto ci è caro, buono, ma che in fondo non è strettamente necessario alla nostra sopravvivenza.

La Madonna a Medjugorje ci ha ricorda-to con insistenza il valore del digiuno ali-mentare, al quale è dato il potere di “fermare anche le guerre”, così come dice Maria nei suoi messaggi. Ma ci sono tante forme di digiuno che non sempre consideriamo importanti e così ne vanifichiamo l’efficacia. Vi proponiamo allora brevi riflessioni tratte dai testi del monaco e teologo Divo Barsotti e poi cucite insieme, su una forma di digiuno fondamentale per chi desidera ascoltare in sé la voce del Cielo: IL SILENZIO.

Il silenzio: luogo teologico dell’incontro con Dio

“È la via d’ingresso a Dio. Se non si entra nel silenzio, nel deserto interiore, è difficile, e talora impossibile, ascoltareDio. È in questo deserto, in questa solitudi-ne che Dio chiama l’anima che vuole seguirlo: «Ti condurrò nella solitudine e là parlerò al tuo cuore» (Os 2,14). Quando l’uomo vuole ascoltare la parola di Dio, deve nascondersi nel silenzio, deve affon-dare nel buio. Deve uscire dal mondo. Troppo lieve è il sussurro di Dio!”.

Dal silenzio esteriore a quello interiore

“In un mondo in cui i ritmi frenetici del lavoro, l’attivismo sfrenato, la moltiplica-zione delle immagini della TV e di internet affollano la nostra mente, la ricerca di ricorrenti spazi di silenzio durante la gior-nata diventa essenziale. Occorre allora fare tutto con semplicità, con calma, senza ansia e, soprattutto, coltivare il raccoglimento. Dio compie le più grandi opere nel silen-zio: nel silenzio eterno il Padre crea il cie-lo e la terra; nella notte, lontano dalla città, nasce Gesù; nel nascondimento e nel silen-zio della casa di Nazareth Gesù si prepara alla sua missione; nella solitudine della notte Gesù si allontana da tutti per pregare; nell’oscuro silenzio della tomba di Cristo germoglia la gioia della Risurrezione!”.

Il silenzio unificante

“La moltitudine non è al di fuori di noi, ma in noi: moltitudine di pensieri, di affet-ti, di sentimenti, di occupazioni e di inte-ressi. Tutto questo è dispersione per l’ani-ma, è impossibilità per l’anima di accedere a Dio. Finché il pensiero dell’uomo non tende a Dio, l’uomo rimane disperso. Siamo dispersi nei pensieri per le varie notizie cui diamo ascolto. Vogliamo sapere, attraverso il giornale, la radio, la televisio-ne… Si pensa a una cosa, all’altra e non c’è veramente un centro alla nostra vita interio-re e non c’è veramente una mèta alla nostra attività intellettuale. Che cosa si richiede? Certo la preghiera; il raccoglimento già si ottiene mediante la preghiera. Chi è abitua-to alla contemplazione non sa veder nulla se non nella luce di Dio, mentre tanti (anche uomini di Chiesa) vedono le cose nella luce del successo, dell’efficienza”.

Tre tipi di silenzio

“I maestri di spirito parlano di tre tipi di silenzio come condizione alla comunione con Dio: intorno a sé, di sé, in sé.

Silenzio intorno a sé: è il silenzio delle occupazioni esagerate e superflue; il silen-zio dei colloqui inutili e delle visite monda-ne, non fondati sul dovere della carità. Il silenzio esteriore restituisce al corpo e allo spirito quella calma necessaria per recupe-rare il silenzio interiore.

Silenzio di sé: è il silenzio che ci nasconde agli occhi altrui e ci fa passare inosservati nella vita di ogni giorno; è il silenzio che avvolge nel segreto i nostri dolori, le nostre preoccupazioni, le nostre speranze fino ad amare che nessuno sguar-do si soffermi su di noi, che nessuna parola di lode o di compassione ci conforti.

Silenzio in sé: è il silenzio dello spirito critico, della suscettibilità del cuore, delle esigenze del corpo sofferente. Si tratta di mettere a tacere il chiasso interiore: il caos dei pensieri, il groviglio dei desideri, le inquietudini e le angosce dello spirito”.

Parola e silenzio

“Parlare è una cosa grande. Ma in gene-rale le nostre parole invece di comunicare noi stessi, ci nascondono agli altri, invece d’impegnarci ci pongono su un piano di superficialità, di dissipazione interiore! Bisogna che la nostra parola sia veramente parola, ci esprima, sia rivelazione del più intimo segreto dell’essere nostro. In ogni parola dobbiamo donarci totalmente. Proprio per questo le nostre parole devono essere poche per essere davvero efficaci.

Ma occorre andare oltre: la parola non deve esprimere solamente noi stessi, ma Cristo. Non pretendiamo di poter dare Dio chiacchierando a vanvera di Nostro Signore: fintanto che non siamo realmente impegnati a fondo, non doniamo né Dio né noi stessi: la parola che dona Dio deve sali-re da un abisso ancora più fondo della paro-la che dona l’essere tuo. Dio è intimo a noi più di noi stessi. Chiediamo questa grazia al Signore: che impariamo a parlare! Non si tratta di fare dei discorsi: se ne fanno anche troppi, ma di parlar il linguaggio più sem-plice, più essenziale, e attraverso ogni paro-la alle anime dare Dio”.

Silenzio e sobrietà

Silenzio vuol dire, infine, un digiuno, un’eliminazione del troppo. Non fare trop-pe cose: tutto tenda alla sobrietà, alla sem-plicità del gesto, della vita. Infatti, il silen-zio esteriore non riguarda solo la parola, ma anche il gesto, perché si può parlare con gli occhi, con un sorriso, con le mani, con l’attività. Questo digiuno dell’anima anche di rapporti umani, questo suo affondare nel silenzio non la impoverisce, anzi la rende più ricca perché la unisce a Dio”.

Redazione

 


 

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